Compravendita di immobili, giurisprudenza

Cassazione 1 aprile 2003, n. 4893 In tema di vizi della cosa nella compravendita (come nel contratto d'opera o di appalto) ed al fine d'integrare l'ipotesi del riconoscimento ex art. 1495, comma 2, c.c., ad opera del venditore (o prestatore) - che esonera la controparte dall'obbligo di denunzia entro i prescritti termini - non è sufficiente la mera conoscenza (o possibilità di conoscenza) del vizio, in quanto detto riconoscimento, se non implica una manifestazione di volontà, costituisce pur sempre una manifestazione di verità o di scienza relativa alla sussistenza di un fatto produttivo di conseguenze giuridiche negative per il dichiarante.
Tale manifestazione, peraltro, non essendo soggetta a forme particolari, può essere desunta sia da qualsivoglia espressione linguistica, purché univoca e convincente, sia da facta concludentia, senza necessità che ad essa si accompagni l'ammissione del vizio o della responsabilità o l'assunzione di obblighi. La mancanza di un certificato di abitabilità prevede quantomeno il risarcimento delle spese necessarie per ottenerlo.

Cassazione 15 maggio 2003, n. 7529
La mancanza del certificato di abitabilità dell'appartamento venduto, perché non rispondente alle prescrizioni edilizie, è causa di un deprezzamento del bene commisurabile, qualora il compratore agisca per il risarcimento del danno, alle spese presuntivamente necessarie per il compimento degli adempimenti sufficienti ad ottenere la licenza di abitabilità.
La possibilità per il committente di eseguire verifiche in corso d'opera non esclude, in un appalto, la responsabilità del venditore.

Cassazione 27 marzo 2003, n. 4544
In tema di appalto, la facoltà, prevista dall'art. 1662 c.c., di effettuare verifiche in corso d'opera è finalizzata a garantire l'esatto adempimento dell'appalto, ma non anche a fungere da accettazione dell'opera, e non esclude, pertanto, la responsabilità dell'appaltatore per vizi o difformità dell'opera stessa.
Il fatto che il committente fornisca un progetto e un direttore lavori non fa decadere la responsabilità dell'appaltatore, che deve, nell'ambito delle sue conoscenze tecniche, controllare la congruità e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, gli eventuali errori riscontrati. Tuttavia la garanzia non opera se il committente si sia ingerito nell'esecuzione facendo dell'appaltatore un semplice esecutore ovvero abbia incaricato un'impresa priva delle necessarie competenze.

Cassazione 05 maggio 2003, n. 6754
In tema di appalto la circostanza che l'appaltatore esegua l'opera su progetto del committente o fornito dal committente non lo degrada, per ciò solo, al rango di nudus minister poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica, esulando dagli obblighi delle rispettive parti.
Ne consegue che l'appaltatore è tenuto non solo ad eseguire a regola d'arte il progetto, ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, anche nel caso di ingerenza di costui, gli eventuali errori riscontrati, quando l'errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido e idoneo a soddisfare le esigenze del committente.
(Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la responsabilità esclusiva dell'appaltatore per l'applicazione difettosa di numerose valvole per impianti di riscaldamento, prive dei necessari supporti di raccordo tra paretine e traversino, raccomandati e suggeriti dalla migliore tecnica costruttiva).

Cassazione 16 luglio 2003, n. 11149
La responsabilità dell'appaltatore per i vizi e le difformità dell'opera deve essere esclusa qualora il committente si sia ingerito nell'esecuzione dell'opera, riducendo il primo a nudus minister, ovvero abbia incaricato di detta esecuzione una impresa che sapeva essere priva delle capacità tecniche ed organizzative necessarie per la realizzazione dell'opera affidatale.
In appalto, la consegna dell'opera finita, non prevede per forza la sua accettazione d parte del committente. Essa deve essere esplicita oppure desunta dal suo comportamento. La conclusione di un contratto definitivo può invece comportare effetti quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo

Cassazione 12 maggio 2003, n. 7260
In tema di appalto, l'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell'opera al committente (alla quale è parificabile l'immissione nel possesso) e come fatto concludente la "ricezione senza riserve" da parte di quest'ultimo anche se "non si sia proceduto alla verifica". Bisogna, però, distinguere tra atto di "consegna" e atto di "accettazione" dell'opera: la "consegna" costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l'"accettazione" esige, al contrario, che il committente esprima (anche "per facta concludentia") il gradimento dell'opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo.
Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile non decorre dalla manifestazione di semplici sospetti, ma da quando il committente ha conoscenza della gravità dei difetti stessi e può imputarla all'appaltatore.

Cassazione 27 maggio 2003, n. 8425
Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall'articolo 1669 del Cc a pena di decadenza dell'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegue un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficiente manifestazioni di scarsa rilevanza e semplice sospetti.

Cassazione 6 giugno 2003, n. 9077
La stipulazione del contratto di appalto non richiede quale requisito la forma scritta né "ad substantiam" né "ad probationem".


Cassazione 28 maggio 2003, n. 8522
L'appaltatore, fino alla consegna dell'opera al committente, detiene l'opera stessa nel suo personale interesse, in virtù di un rapporto obbligatorio e deve pertanto considerarsi detentore qualificato. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui l'appaltatore rifiuti la consegna dell'opera, si ha spoglio in danno del committente solo se resti accertata l'assoluta mancanza di contestazione circa l'avvenuta cessazione del rapporto contrattuale, con l'esaurimento delle relative posizioni soggettive, mentre, in presenza di una controversia relativa alle vicende contrattuali, va escluso il venir meno dello ius detentionis dell'appaltatore.
Con motivazione adeguata, esente da vizi logici e da errori giuridici e pertanto incensurabile nella attuale sede la Corte napoletana ha ravvisato nel rapporto "inter partes" tutti gli elementi del contratto d'appalto (per la cui stipulazione, come è noto, non è richiesta la forma scritta né "ad substantiam" né "ad probationem" - Cass. n. 3481/78, n. 1125/79, n. 5911/83, n. 11381/96) atteso che il Ferone aveva eseguito le opere complesse indicate dal consulente tecnico d'ufficio con attrezzature e personale dei quali aveva comunque la disponibilità (fossero o meno proprie o del padre o di terzi) ed a proprio rischio, come era agevole dedurre dal fatto che le Giordano non solo non avevano sostenuto di aver esse fornito i materiali o le attrezzature o la mano d'opera, ma avevano chiesto la condanna per i danni dovuti alla cattiva esecuzione delle opere, richiamandosi altresì, per la determinazione del prezzo, alle tariffe del Genio civile.
All'esclusione da parte della Corte territoriale della ipotizzabilità di diversa fattispecie contrattuale non possono pertanto opporre le ricorrenti incidentali la ritenuta irrilevanza, da parte della Corte territoriale, dei mezzi istruttori richiesti (prove per testi e interrogatorio formale) tanto più che nel formulare tale censura esse non hanno soddisfatto l'onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto di tali prove al fine di consentire a questo giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e quindi delle prove stesse che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Suprema Corte dev'essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. tra le tante Cass. S.U. n. 1988/1998).
 

Cassazione 19 giugno 2003, n. 9849
In materia di appalto la responsabilità dell'assuntore del lavoro inerente alla garanzia per vizi e difformità dell'opera eseguita, prevista dagli articoli 1667 e seguenti del Cc, può configurarsi unicamente quando lo stesso, nell'intervenuto completamento dei lavori, consegni alla controparte un'opera realizzata nel mancato rispetto dei patti o non a regola d'arte, mentre nel caso di non integrale esecuzione dei lavori o di ritardo o di rifiuto della consegna del risultato di questi, a carico dell'appaltatore può contrattualmente operare unicamente la comune responsabilità per inadempimento contrattuale ex articoli 1453 e seguenti del codice civile.

Cassazione 15 luglio 2003, n. 11074
Il committente, cui il cessionario del credito dell'appaltatore chieda il pagamento dopo che la cessione gli sia stata portata a conoscenza, non può sottrarsi al pagamento, eccependo che, successivamente alla comunicazione della cessione, i dipendenti dell'appaltatore hanno avanzato domanda ex art. 1676 c.c.

Cassazione 29 luglio 2003, n. 11642
Il diritto di recesso esercitabile "ad nutum" dal committente in qualsiasi momento dell'esecuzione del contratto di appalto non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto, ma, al contrario, stante l'ampiezza di formulazione della norma di cui all'art. 1671 c.c., può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente medesimo a porre fine al rapporto, da un canto, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera (avendo egli diritto solo all'indennizzo previsto dalla detta norma), e, da altro canto, rispondendo il compimento dell'opera esclusivamente all'interesse del committente.
Ne consegue che il recesso può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti d'inadempimento, e, poiché il contratto si scioglie esclusivamente per effetto dell'unilaterale iniziativa del recedente, non è in tal caso necessaria alcuna indagine sull'importanza dell'inadempimento, viceversa dovuta quando il committente richiede anche il risarcimento del danno per l'inadempimento già verificatosi al momento del recesso.
In tema di appalto, la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno in favore del committente per inadempimento già verificatosi al momento dell'esercizio del recesso ex art. 1671 c.c. può vanificare l'obbligo del committente recedente di indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

Cassazione 24 aprile 2003, n. 6516
Per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l'oggetto sia determinato, ove determinabile (pertanto documentali e non estrinseci all'atto), dovendosi ravvisare il requisito della determinatezza o della determinabilità nell'inequivocabile identificazione dell'immobile compravenduto per il tramite dell'indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente conducente al fine e idonei a non lasciare margine di dubbio sull'identità del suddetto immobile.
Deriva, da quanto precede, pertanto, che al detto fine non può invocarsi un documento estraneo al contratto (nella specie: licenza di costruzione) il quale, in quanto estrinseco al contratto, non può supplire alle evidenziate carenze in ordine all'individuazione dell'oggetto della compravendita.

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